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Una famiglia molto numerosa


In una località della Germania, non troppo lontano dal confine con la Polonia, agli inizi del sec. XX stava una famiglia agiatissima e assai numerosa. Il padre aveva capitali e attività praticamente in tutta Europa nonché, notevoli possedimenti nella Russia degli Zar; per questo godeva di un grande potere. Egli aveva quello che si direbbe oggi, il bernoccolo degli affari. Qualunque attività che prendesse fra le mani, immediatamente prosperava e produceva soldi che egli reinvestiva, facendoli  germogliare in altri soldi e così via. La sua famiglia era numerosissima; in tutto quindici figli ma, a differenza di quello che succedeva sovente in altre famiglie povere e meno fortunate di quell’epoca, tutti sopravvissero e anche molto bene, divenendo persone adulte.  All’epoca infatti (inizio sec XX), nelle famiglie meno agiate, era quasi normale che da un numero elevato di figli, per finire, ne sopravvivessero soltanto uno o due in quanto purtroppo, non vi era da mangiare per tutti.

 


Tale famiglia era veramente una bella brigata; basta pensare che 15 giovani, fra ragazzi e ragazze, animavano i corridoi, la sala da pranzo, la cucina della grande casa a più piani (praticamente un intero palazzo) in cui abitavano, con la vivacità tipicamente giovanile che elettrizzava tutti i locali di quella grande abitazione a più piani. Ognuno aveva la sua camera come fosse un vero albergo.   Il menage tipico dei ragazzi era il seguente: al mattino la levata era circa verso la 11 - 11/30; naturalmente non avevano bisogno di farsi la camera in quanto ci pensavano le cameriere; dopo circa un’oretta tra toelets, bagno, massaggi  ecc. si trovavano tutti, più arzilli e allegri che mai, sotto nella sala da pranzo in un clima di totale spensieratezza,  a consumare la prima colazione. Il pomeriggio poi, lo trascorrevano nei caffé e locali prestigiosi e la sera, a ballare fino al mattino; ognuno di loro tra l'altro, oltre che essere capace di suonare praticamente ogni tipo di strumento musicale, era anche un asso nel ballo e così, tutte le notti passavano fra Quadriglie, Polke, e Valzer di Strauss e Lehar, in un clima di totale allegria. Il padre era  una brava persona, ma molto possessivo nei confronti dei ragazzi, voleva essere lui a gestire le situazioni in tutto e per tutto, anche negli stessi divertimenti.  Infatti i ragazzi e ragazze; quelli con l’età giusta per uscire alla sera, avevano una nutrita serie di locali a disposizione da scegliere, per andare a divertirsi alla sera.

 

 

Non avevano bisogno di chiedere l’autorizzazione paterna per andare in tal  posto o in tal altro; loro potevano scegliere liberamente però, solo fra i locali appartenenti alla lista preparata dal padre, e andarci quando ne avevano voglia, non badando a spese. Al mattino il padre chiedeva loro dove erano stati dopodichè, con il padrone del locale in questione, regolava tutto lui, in quanto i figli li faceva girare sempre senza soldi.

 


I ragazzi non potevano decidere di andare in locali esclusi dalla lista paterna, non sarebbe stato loro possibile in quanto consumando sempre a credito, per forza di cose, dovevano attenersi agli itinerari previsti e pianificati dal loro genitore. Del resto, i gestori dei locali esclusi dalla lista, ben sapendo che nessuno avrebbe pagato, non gli avrebbero mai fatto credito. Questa era la caratteristica principale di questo personaggio il quale forse, nemmeno si rendeva conto del suo atteggiamento un poco possessivo; anzi, era convinto di dare ai figli la massima libertà (in un certo senso era anche vero) in quanto non erano pochi i locali che avevano a disposizione, purché questa libertà rientrasse sempre fra le scelte previste da lui.

 

 

A volte non è  per niente facile essere genitore; se si lascia troppo fare, i figli potrebbero riservarti brutte sorprese, se si è troppo invadenti non va bene sotto altri aspetti.

 

Libero arbitrio

La filosofia del padre, capofamiglia di questa numerosa brigata, era molto simile a quella del padre di Siddharta, colui che divenne il Budda, e che fondò la dottrina buddista. Infatti il padre di Budda, poiché voleva troppo bene al figlio, decise che questi non dovesse mai conoscere il dolore, la sofferenza e naturalmente, nemmeno vederla perché per una persona sensibile, il vedere sofferenza, già produce altra sofferenza. No! Il figlio avrebbe dovuto vedere solo cose belle, vivere in mezzo a persone giovani e sane; non doveva neppure conoscere persone vecchie o solamente anziane o ammalate e neppure povere. Era questa la vita del giovane principe Siddharta, il futuro Budda: una vita bellissima in mezzo a cose bellissime prima che capisse, dopo tutta una serie di  sue riflessioni, che invece bisognava uscire dal guscio, conoscere il mondo per quello che è, e possibilmente migliorarlo. Al di la dal considerare se la religione buddista sia giusta o no, un fatto è certo: che non è un bene chiudersi in un guscio e rifiutare, anche a livello psicologico, il mondo esterno; bisogna in qualche modo conoscere e prendere atto delle cose che ci circondano belle o brutte che siano.

 

 

Il signor Sante (quello era il suo nome) non conosceva la filosofia indiana e neppure la biografia di Budda, ma sotto certi aspetti aveva una mentalità simile a quella del padre di Budda.   Il suo ragionamento era che se lui possedeva enormi ricchezze, con attività sparse per mezza Europa che gli davano profitti notevoli, che bisogno avevano i suoi figli di lavorare e subire i tipici affanni, le tipiche frustrazioni e preoccupazioni di chi lavora, affaticarsi tutto il giorno, avere mille pensieri, quando invece avevano la fortuna, che non tutti hanno, di vivere senza preoccupazioni di nessun genere, stare nel lusso e negli agi e godersi la vita? Dopotutto c’era lui che provvedeva ad ogni cosa e anche quando un giorno non ci sarebbe più stato, tutto era già pianificato affinché ognuno avesse avuto la sua parte di ricchezze per continuare a vivere felice. Era un genio negli affari come nell’organizzazione, ma non era ne filosofo, ne psicologo, neppure a livello intuitivo; infatti uno non può essere veramente felice se non riesce ad apprezzare quello che ha in quanto lo considera come cosa scontata, e per apprezzare quello che si ha, bisogna conoscere cosa vuol dire non avere, lottare per avere un risultato; è quello che fa diventare uomini o donne e  che ti consente di provare delle soddisfazioni.

 

 

La Vita, grande maestra…. di  vita

Forse è proprio questo il mistero della vita: il Padre Eterno (che non sbaglia mai) prima permette le sofferenze e dolori di ogni genere ovvero, lascia che le situazioni negative si sviluppino secondo il loro iter naturale, fino all’estremo, senza intervenire, affinché gli essere umani conoscano, dopo risolverà tutto inaugurando un’epoca di gioia eterna, come viene detto anche nelle Sacre Scritture, in modo che tutti potranno essere felici, ma in modo consapevole; è la consapevolezza della nostra felicità, che ci rende veramente felici.  La felicità inconsapevole, serve solo ad alimentare i rimpianti  quando di questa, resterà solo il ricordo.  

 

 

Una vita all’insegna del divertimento

Sempre in relazione  alla mentalità del padre, i figli quindi, erano molto incoraggiati a non lavorare e pensare solo a divertirsi naturalmente, secondo le modalità previste dal genitore, cosa che era accettata con grande entusiasmo dalla maggioranza, però se qualcuno voleva lavorare, il genitore non si opponeva; in tal caso ci pensava lui a collocarlo in una delle sue numerose attività e naturalmente i soldi guadagnati nemmeno li vedeva (tranne una minima parte) non perché il genitore volesse sfruttarlo, assolutamente, ma perché in tal modo riusciva a  controllarlo meglio.
Il fatto che un figlio volesse lavorare (il che, non era del tutto proibito) prevedeva come cosa scontata, che egli lavorasse nelle aziende del padre come e quando lui voleva; lavorare altrove, presso altre aziende, era cosa da non prendersi nemmeno in considerazione. Lavorare poi presso la concorrenza di quel ramo principale delle varie attività paterne, era cosa considerata addirittura blasfema, offensiva, come un vero e proprio tradimento. Tuttavia, secondo la legge delle probabilità, è assolutamente impensabile che con tanti ragazzi, ognuno con un suo modo di pensare, non ci fosse qualcuno (il primogenito) che invece volesse lavorare sul serio e non soltanto per sentirsi
impegnato o provare l’effetto che fa, e che fosse appassionato proprio di quel settore principale, colonna portante delle varie attività paterne e che, pur volendo bene al padre, avesse un forte spirito indipendente e che pertanto, volesse lavorare a modo suo e per giunta, per forza di cose, proprio presso la concorrenza.

 

 

La concorrenza

Le liti in famiglia  per questo motivo erano innumerevoli; era l’ombra che offuscava la bella e allegra compagnia. Il primogenito quindi, lavorava per i fatti suoi presso la concorrenza solamente per sentirsi libero. Riusciva però a combinare ben poco perché la concorrenza, che ben conosceva la situazione, non voleva certo mettersi contro quel personaggio così potente; era molto più prudente per loro non provocarlo più di tanto, così che il giovane veniva limitato non poco nelle varie attività e tenuto così a freno.   Il primogenito, ben sapendo che dietro a tutto, c’era sempre lo zampino del padre, un giorno decise di andarsene e poiché le braccia del padre erano molto lunghe, andò ancora più lontano da quelle, ovvero si arruolò nella Legione straniera per diversi anni. Si trovò così coinvolto in diverse operazioni di pace (di quelle, dove i morti non fanno più la guerra) nel Nord Africa e in seguito, nella penisola indocinese; rischiò la vita una infinità di volte e allo stesso tempo, mise in pericolo la vita dei suoi nemici (magari anche in modo definitivo). Dopo cinque anni di vita militare, stremato da privazioni, dopo averne viste di tutti i colori, con le mani e la coscienza non più innocenti come erano quando era partito, tornò  a casa, presso la sua famiglia.    Il padre, felice di rivederlo, lo abbracciò calorosamente e avendo capito in parte, quello che voleva, non si mostrò più sfavorevole nei suoi progetti di libero impresario. Dopo cinque anni di servizio presso la Legione straniera, aveva realizzato un discreto gruzzolo che non era certo paragonabile al capitale paterno, ma era tutto suo e questo gli dava una grande soddisfazione.

 

 

Con quei soldi fondò una piccola azienda di cui lui era il titolare, in cui poteva decidere da solo; suo padre, come detto, sembrava finalmente averlo capito e quindi, tutto faceva credere che un braccio di ferro, che pareva non finire mai, fosse finalmente finito.

 

 

La difficoltà di cambiare mentalità

 

Con il tempo però (era diventato sensibilissimo a queste cose), si accorse che dall’alto comunque, era sempre suo padre che teneva le redini di tutto, anche di quelle ditte che non erano direttamente le sue.
Egli faceva in modo tale che, attraverso le influenze che poteva esercitare più o meno direttamente o indirettamente, l’attività del figlio non fallisse;
condizionava il tutto affinché avesse sempre il lavoro, la clientela necessaria per andare avanti, e allo stesso tempo però, faceva in modo tale che questa attività non crescesse oltre misura, al fine di poterla sempre tenere sotto controllo.   Il padre probabilmente, era preso fra due dilemmi; da una parte era lui che doveva essere l’unico gallo del pollaio e quindi, solo a lui spettava il comando, nelle grandi e nelle piccole cose, sul mercato, all’interno a all’esterno delle sue attività, e dall’altro canto, essendo padre, non poteva impedirsi di aiutare il figlio quando gli sembrava che ne avesse bisogno. Era proprio questo che il figlio non gli riusciva di sopportare, anche quando il padre si attivava per aiutarlo; figuriamoci poi se lo faceva per ostacolarlo, per impedirgli di crescere troppo, solo per poterlo controllare meglio. Tutto questo lo irritava moltissimo.

 

 

Vecchi risentimenti

Fu così che dopo cinque anni di lontananza dal tetto paterno, dopo un primo momento di euforia e di gioia a seguito del suo ritorno, quando si credeva che tutte le liti fossero ormai cosa passata, ricominciarono le tensioni in famiglia.  Dopo un certo periodo, il figlio che nel frattempo si era sposato ed aveva avuto due bambine, decise di trovare la soluzione al problema in modo radicale ovvero, andando in America. Già aveva dei contatti con il Nuovo Continente; alcuni indirizzi che aveva avuto quando era nella Legione Straniera. Era sicuro che lì suo padre non avrebbe potuto esercitare, neanche minimamente, la sua influenza ne per il bene, ne per il male; era questo che lui voleva.

 

 

La partenza

Decise così di fare prima lui, da solo, un sopraluogo; vedere come era l’ambiente in America e studiare le varie possibilità per fondare l’impresa che avrebbe prodotto gli stessi articoli che produceva suo padre nel centro Europa. Una volta pianificata ogni cosa, sarebbe ritornato in Europa, avrebbe venduto la sua azienda come meglio poteva (non bisogna dimenticare che l’influenza del padre, poteva condizionare anche la vendita dell’attività). Dopo questo, con la moglie e le due ragazzine se ne sarebbe ritornato in America e avrebbe ricominciato tutto da capo, una nuova vita.  Si attivò in questo senso e decise di mettere da parte un piccolo gruzzolo per realizzare il progetto; non poteva certo contare sui soldi del padre.   

 

Con questo pensiero in mente quindi, aspettava l’occasione per quanto deciso finche questa, non si presentò. Da Liverpool in Inghilterra si parlava molto di una nave bellissima, completamente nuova che grazie alle sue strutture moderne, era giudicata come inaffondabile; questa nave si chiamava:  Titanic.
Decise quindi di inaugurare la sua nuova vita con questa nuova nave che avrebbe attraversato per la prima volta l’Atlantico, come lui del resto; essa poteva rappresentare bene l’inizio di una nuova epoca purtroppo però, non avendo l’approvazione paterna per questa iniziativa, dovette accontentarsi della terza classe ma poco importa, del resto a lui non interessava il lusso; si sentiva più attratto dal lavoro, specialmente da quel ramo che era la parte principale di tutte le attività paterne ovvero i mosaici che ornavano le ville principesche e gli edifici prestigiosi dell’epoca. ...Come ben si sa purtroppo, ne la nave e nemmeno lui arrivarono in America perché  la nave affondò in pieno Atlantico ed essendo egli passeggero della terza classe, fu tra quegli sventurati che annegarono fra le gelide acque dell’oceano.

 

 

Malanni a catena

Per quella famiglia, questa non fu che la prima mazzata, la seconda fu la rivoluzione bolscevica in Russia. Immediatamente dopo la Rivoluzione, il padre, ormai senza il primogenito, andò a vedere cosa stava succedendo in quelle terre che erano di sua proprietà, convinto che con il personale ci si sarebbe capiti. Aveva avuto sempre un buon rapporto con loro e invece per poco, non fu impiccato dai suoi stessi ex dipendenti con i quali non aveva mai avuto da ridire e che aveva sempre trattato bene. Fu salvato da una ragazzina che lo tenne nascosto per diverse settimane, procurandogli viveri quando poteva, finché non si allentò la sorveglianza dei picchetti che controllavano tutte le vie d’uscita. Tornò in Germania con mezzi di fortuna in due o tre mesi circa. Quando suonò il campanello di casa sua, sembrava un barbone tanto che, in un primo momento, non lo riconobbero e non vollero farlo entrare. Quando finalmente fu riconosciuto e fatto entrare, disse ai presenti che tutti i possedimenti in Russia, erano definitivamente perduti e che lui era vivo per miracolo

 

 

Il cambio della moneta e l’evento del nazismo

Un altro guaio avvenne con la Repubblica di Weimar (dopo il crollo dell’Impero) in cui ci fu il cambio della valuta provocato dai debiti di guerra. Con questo nuovo scherzetto, tutti i liquidi che quella famiglia teneva depositati nelle banche, vennero perduti. I guai però non vengono mai soli infatti successivamente, quando salì al potere Hitler,  vennero confiscati tutti gli immobili e le varie attività di quella famiglia perché era di origine ebrea.  Per finire questa drammatica parabola, quando ormai i membri di tale famiglia non avevano più niente, vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento. I figli che avevano scelto una vita completamente mondana in fondo, furono i più fortunati perché non essendo capaci di lavorare, vennero subito eliminati venendo così esclusi da spettacoli terribili e raccapriccianti (a volte per vivere in un certo modo, è meglio non vivere). Anche al padre venne risparmiata la sofferenza di vedere il suo impero crollare così tragicamente in quanto morì molto prima delle deportazioni.

 

….Non tutti i figli di quella numerosa famiglia finirono nei campi di concentramento; una ragazza, già nel primo dopo guerra, sposò un italiano e si stabilì in Italia, a Torino; altri, dopo fughe rocambolesche e innumerevoli peripezie, riuscirono a sfuggire alle persecuzioni di Hitler emigrando in America, a Chicago... Come dice il proverbio: La necessità aguzza l’ingegno; infatti questi ragazzi, anche se erano cresciuti come dei fannulloni, avevano in loro, nel DNA allo stato latente, le capacità imprenditoriali trasmessegli dal genitore e seguendo le orme del padre, preso come modello  e maestro anche se non era più con loro, in un terreno così favorevole come erano gli Stati Uniti, riuscirono a sfondare nel commercio, soprattutto nel settore abbigliamenti realizzando nuovamente, favolose ricchezze. 

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